Simonetta Vespucci e De’ Medici Gioielli

Simonetta Vespucci

La “bella Simonetta”, la “sans par”: questi i due soprannomi con cui è passata alla leggenda una delle più celebri nobildonne del Rinascimento fiorentino, Simonetta Vespucci, nata Cattaneo (Genova o Portovenere, 1453 – Firenze, 1476). Una donna ritenuta di bellezza ineguagliabile, oggetto del desiderio di moltissimi uomini della Firenze della metà del Quattrocento, esponente di una delle famiglie genovesi di più antica nobiltà (i Cattaneo), andata in sposa a soli sedici anni al banchiere Marco Vespucci (parente del più noto Amerigo, il navigatore che ha dato il nome all’America), morta giovanissima (ad appena ventitré anni, probabilmente di peste) e accostata al nome di molti artisti del tempo, per i quali avrebbe posato. Molti hanno voluto riconoscere il suo volto, per esempio, nella Venere o nella personificazione della Primavera di Sandro Botticelli (Firenze, 1445 – 1510), e si è voluto persino attribuire ai due un legame affettivo, anche sulla base di una leggenda (destituita di ogni fondamento) secondo la quale Botticelli avrebbe chiesto di essere sepolto accanto a Simonetta nella chiesa di Ognissanti. I due furono effettivamente sepolti all’interno dell’edificio di culto fiorentino, ma perché le tombe di famiglia di entrambi si trovavano nella stessa chiesa (i Vespucci erano titolari di una cappella, mentre Botticelli fu sepolto nel cimitero di Ognissanti). Cosa c’è dunque di vero in questa storia?

Sandro Botticelli, Venere, Particolare
Sandro Botticelli, Particolare della Nascita di Venere (1482-1485 circa; tempera su tela, 172,5 x 278,5 cm; Firenze, Uffizi)

 

Sandro Botticelli, Primavera, Particolare
Sandro Botticelli, Particolare della Primavera (1482 circa; tempera su tavola, 207 x 319 cm; Firenze, Uffizi)

Ci sono sicuramente degli elementi che ci lasciano supporre che Sandro Botticelli e Simonetta Vespucci si conoscessero. Nel 1464 il padre di Sandro, Mariano Filipepi (gioverà ricordare che Sandro Botticelli, in realtà, si chiamava Alessandro Filipepi), aveva acquistato una casa in via Nuova, attigua alle abitazioni della famiglia Vespucci, nel quartiere di Borgo Ognissanti. In questa casa dimorò in seguito anche Sandro, almeno dal 1470 e fino alla fine dei suoi giorni. Che ci fossero tra i Filipepi e i Vespucci dei rapporti di buon vicinato è testimoniato dal fatto che i Vespucci garantirono alcune commissioni al pittore, tra le quali di sicuro il Sant’Agostino nello studio della chiesa di Ognissanti (i Vespucci, oltre a essere titolari di una cappella nella chiesa, ne erano stati anche tra i principali finanziatori). Su Simonetta, invece, ci sono pochissimi documenti. Conosciamo data e probabile luogo di nascita da un documento del catasto fiorentino del 1469 (anno del suo matrimonio), che la indica come nata a Genova (il fatto che di recente sia stato proposto il borgo di Portovenere come suo luogo di nascita è dovuto al fatto che la famiglia Cattaneo aveva dei possedimenti nella zona del golfo spezzino, e al fatto che il nome di Simonetta non è menzionato nei registri genovesi del tempo) e di sedici anni d’età. All’epoca, quindi, si trovava già a Firenze. Tuttavia, non esistono (o non ci sono arrivati) documenti che possano testimoniare un rapporto tra Sandro e Simonetta. Come sarebbe nato, dunque, il mito di Simonetta Vespucci “musa di Botticelli”?

“Sandro
Sandro Botticelli, Sant’Agostino nello studio (1480 circa; affresco staccato, 185 x 123 cm; Firenze, Ognissanti)

In seguito alla sua scomparsa avvenuta nel 1476, Simonetta diventò oggetto di un’autenticavenerazione da parte dei poeti della Firenze medicea, che in lei vedevano una sorta dipersonificazione del concetto di bellezza. Lo stesso Lorenzo il Magnifico scrisse, in sua memoria, quattro sonetti, il più famoso dei quali recita: “O chiara stella che co’ raggi tuoi / Togli alle tue vicine stelle il lume, / Perché splendi assai più del tuo costume? / Perché con Febo ancor contender vuoi? / Forse e begli occhi, quali ha tolto a noi / Morte crudel, che omai troppo presume, / Accolti hai in te: adorna del lor nume, / El suo bel carro a Febo chieder puoi. / O questo o nuova stella che tu sia, / Che di splendor novello adorni el cielo, / Chiamata esaudi, nume, e voti nostri: / Leva dello splendor tuo tanto via, / Che agli occhi, c’han d’etterno pianto zelo, / Senz’offension lieta ti mostri”. Nelle chiose ai sonetti, il Magnifico scriveva di aver ricevuto l’ispirazione dopo aver osservato, una notte, una stella luminosissima in cielo: secondo la sua sensibilità poetica, quella non poteva esser altro che l’anima della giovane (e questo particolare ci dà già un’immagine chiara delle proporzioni che il mito di Simonetta aveva già raggiunto). Il poeta Bernardo Pulci, nella sua lirica in terzine di endecasillabi In morte di Simonetta Cattaneo genovese, la descrive come “delizia e zelo” dei regni di Venere, la paragona alla “Laura bella” di Petrarca e alla Beatrice di Dante, e la saluta immanginandola come una “ninfa che in terra un freddo sasso cuopre / Benigna stella or su nel ciel gradita”. E come una ninfa la immaginò anche Angelo Poliziano: la ragazza era infatti protagonista delle Stanze per la giostra del magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici, nel quale si favoleggiava di un amore idilliaco (o, per meglio dire, platonico) tra Simonetta e Giuliano de’ Medici, il fratello del Magnifico ucciso nel 1478 nel corso della congiura dei Pazzi. Poliziano descrive l’apparizione della giovane in questi termini: “Candida è ella, e candida la vesta / Ma pur di rose e fior dipinta e d’erba: / Lo inanellato crin dell’aurea testa / Scende in la fronte umilmente superba. / Ridegli attorno tutta la foresta, / E quanto può sue cure disacerba. / Nell’atto regalmente è mansueta; / E pur col ciglio le tempeste acqueta”.

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Sandro Botticelli, Ritratto ideale di dama (1475-1480 circa; tempera su tavola, 81,8 x 54 cm; Francoforte, Städel Museum)

 

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Sandro Botticelli, Ritratto ideale di dama (1475-1480 circa; tempera su tavola, 47,5 x 35 cm; Berlino, Gemäldegalerie)

 

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